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Le controriforme del sottosegretario Reggi

Abbandono e degrado non sono soltanto prerogative degli edifici disabitati...

Alcuni giorni fa ho partecipato ad una iniziativa di un gruppo consiliare per visitare i luoghi della città in cui sorgono strutture chiuse alla cittadinanza, non perché utilizzate da privati, ma semplicemente in stato di abbandono (e di degrado); tutti luoghi cioè in cui viene costantemente violato l'articolo 42 della Costituzione: edifici abbandonati e cadenti, parchi lasciati in uso ai topi invece che ai cittadini, sottratti alla concretezza del godimento del bene comune, in virtù di un concetto astratto e assoluto di proprietà privata che trova la sua esistenza solo al di fuori della nostra costituzione, e quindi, a maggior ragione, al di fuori della legge, di ogni legge possibile nel nostro stato.

 Ma un paradosso ancora più grande riguarda altri edifici, che pur essendo lasciati al degrado e all'incuria, non sono affatto disabitati: vi si passano infatti molte ore al giorno per un'attività che dovrebbe costituire la spina dorsale della democrazia e dello sviluppo: si tratta degli edifici scolastici, quei non-luoghi, sottratti perfino dalle cure di veri bidelli (e alla mercè dello sfruttamento del lavoro precario di anonime imprese di pulizie), in cui il sottosegretario Reggi vorrebbe che si svolgessero, in una condizione di inutile disagio, tutte quelle attività che ogni insegnante svolge in una parte della sua abitazione che viene dedicata ad uso esclusivo della scuola. Gli insegnanti da sempre hanno donato alla scuola un pezzo della loro casa, così come da sempre donano i libri che acquistano a loro spese (senza neanche la possibilità di dedurle dal reddito), necessari per il mantenimento della loro cultura; non contenti, da quando esiste il “fondo d'istituto” donano anche un pezzo del loro stipendio per tenere aperte le scuole; formalmente rivolto al miglioramento dell'offerta formativa, il fondo d'istituto è infatti necessario per compensare quelle attività di tipo burocratico amministrativo di cui non le tasche degli insegnanti, o di singole categorie di cittadini, dovrebbero farsi carico, ma la Repubblica, per dovere costituzionale: “La Repubblica (...) istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.” (Art. 33). E “istituire” significa anche “far funzionare”.

 Ora si sveglia qualcuno che vorrebbe sradicare gli insegnanti dai luoghi in cui svolgono le loro attività individuali (preparazione delle lezioni, correzione dei compiti, studio personale ecc.), luoghi per quanto possibile dignitosi, per deportarli in altri spazi che, più che stare aperti il pomeriggio fino a sera, dovrebbero essere chiusi dalle ASL già la mattina, quando gli insegnanti sono costretti a condividere con gli studenti per già troppe ore al giorno una serie di disagi quotidiani che sarebbero giustificabili solo in tempo di guerra: ora il freddo, ora il calore eccessivi, la luce che abbaglia per mancanza di tende, il rumore, lo sporco immancabile, la mancanza di accessori (gessi, fotocopie, ecc.) a volte la pioggia sulle proprie teste, e quell'inutile LIM calata dall'alto come le brioche di Maria Antonietta al popolo che chiede pane, a ricordarci che soggetti che dalla scuola traggono vantaggi economici ce ne sono. Non sono come gli uffici dei politici le nostre scuole, non sono come quegli uffici nei quali chi non mette piede nelle scuole fa castelli in aria sulle cose da far fare in quegli spazi fisici che non conosce, o che crede di conoscere solo perché li ha frequentati quando il degrado non era ai livelli attuali. In quegli uffici, con l'aria condizionata, nel silenzio, con il personale a disposizione con un solo clic del telefono, la fantasia corre sfrenata e si stacca sempre di più dalla realtà, come in una regressione infantile. Sintomo di questa regressione è l'uso spregiudicato della bugia; non quella dell'adulto che mente sapendo di mentire; piuttosto quella bugia del candore tipico e disarmante dei bambini, che si nascondono dietro un dito, e che mentono a se stessi: “L'orario di insegnamento non si tocca”; … ma allora come si fa a dire che non ci saranno più le supplenze brevi! Non ci vuole una mente machiavellica per capire che oltre alle 18 ore di cattedra si chiede la disponibilità ad effettuare supplenze brevi, forse fino a sei ore settimanali! Tante, tante supplenze brevi, che sommate tutte insieme faranno una supplenza molto lunga.... lunga una vita; non insegnamento dunque, solo supplenza, che diamine! Chi sostiene che fare supplenza è come insegnare è sicuramente in malafede e contrario al cambiamento!

Ma così quanto può durare un insegnante? Tutti abbiamo un'automobile, e sappiamo due cose: la prima è che non si può mandare a pieno regime per periodi prolungati, la seconda è che richiede manutenzione. Entrambe le attenzioni sono ignorate nella gestione degli insegnanti, ma un insegnante vale meno di un'automobile. Quanto dura un insegnante non pare importare a questa politica, che evidentemente prende ordini altrove. L'importante è copra le ore di insegnamento, anche se non insegna più, anche se sta male e avrebbe bisogno di curarsi. Solo così si rientra nei parametri della spesa pubblica. Per esempio non abbiamo sentito proposte ragionevoli del tipo: facciamo un organico funzionale d'istituto con una media di 16 ore di cattedra, e chiediamo la disponibilità per quattro ore di supplenza, in modo da ipotizzare una media di 18 ore effettive di cattedra, quell'orario oltre il quale è pericoloso andare, per la salute dell'insegnante e di conseguenza per il benessere degli allievi. Così si eliminerebbero le supplenze brevi, e gli attuali supplenti brevi non sarebbero più tappabuchi, ma avrebbero la dignità di veri docenti, con un incarico per tutto l'anno. Non si è sentita, come non sentiremo nessuna proposta di buon senso. Perché il vero scopo dell'operazione non riguarda la scuola e non è rivolto alla scuola, ma è elettoralistico, unica vera ossessione di questa classe politica, ed è rivolto a un certo tipo di elettorato, di cui si conoscono bene le caratteristiche e a cui, da abili comunicatori, si sa come parlare; e la scuola statale del nostro paese resta ancora ad aspettare qualcuno che abbia meno voglia di giocare e che se ne prenda cura in modo davvero autorevole e competente.

 

Pisa, 9 luglio 2014

 

Maurizio Berni, coordinatore provinciale della Gilda degli Insegnanti di Pisa

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